Rinaldo Detassis: in principio fu un “bidone”



Si definisce “molto fortunato”, ma l’intraprendenza e la tenacia nel corso di sessant’anni di carriera sono state decisive. la sua soddisfazione più grande? Quella di non aver mai invidiato o imbrogliato nessuno

Quando parla di sé sembra ti stia raccontando la vita di qualcun altro, con fare disarmante cerca in tutti i modi di “normalizzare” tutte le cose straordinarie che ha fatto nella vita. Ma non è solo umiltà quella di Rinaldo Detassis. È anche saggezza che fa belle le persone, ne rende piacevole la compagnia, gustoso lo scambio di opinioni, irresistibile l’aneddotica. Un racconto del passato che riesce a dare una forma ad un possibile futuro. Detassis è un raro esempio di imprenditore illuminato, innovatore in anni in cui l’innovazione era un rischio e una presunzione. Un uomo per il quale il lavoro non è mai stato una componente accessoria dell’esistenza, ma il mezzo per dare a quell’esistenza una forma e un senso profondo. Sin da quando, poco più che adolescente, preso il diploma di computista, nel 1954, comincia a fare il contabile alla Pedroni, una ditta di trasporto.
La famiglia è di origini modeste. Papà è verniciatore alla Caproni, la mamma si arrabatta come può, stirando e cucinando in ogni dove. Durante la guerra, sono sfollati ad Albiano. Ma poi la guerra finisce, e la gente riprende a esercitare quella cosa chiamata vita. Oltre al diploma di proiezionista cinematografico, Rinaldo prende cinque patenti automobilistiche differenti (diesel, motore a scoppio, motocarro, metano e trasporto pubblico) perché in azienda occorre essere in grado di fare di tutto. Passa alla Collodo, quindi è il primo assunto alla Cremogen, azienda che produceva succhi di frutta. Gli pare di guadagnare poco. Così chiede al principale 100mila lire al mese. Quello gliene offre 90mila e lui rifiuta e si licenzia, lasciando certamente a bocca aperta il suo interlocutore.

Il DESTINO HA LA FORMA
DI UN ELETTRODOMESTICO
L’elettricità fa il suo ingresso nella vita di Rinaldo Detassis verso la fine degli anni Cinquanta, quando il Nostro comincia a vendere porta a porta i primissimi elettrodomestici arrivati a Trento. Sono aggeggi spartani, dalle linee spigolose, i circuiti preistorici e, soprattutto, costano una botta. Ma che ci volete fare? Enrico Mattei ha già cominciato a bucherellare la Lombardia alla ricerca del metano. Il destino dei consumi casalinghi è segnato. Il commendator Borghi della Ignis presenta al mondo i primi fornelli a tre fuochi e i primi frigoriferi. Rinaldo Detassis, che fermo non sa stare, fiuta grandi cose nell’aria. Il suo destino comincia a prendere una forma precisa: quella dell’elettrodomestico. Manca solo l’occasione per compiere il grande salto. Si macera nell’attesa e cerca di capire quale può essere la strada migliore per intraprendere. A Trento, in quegli anni ci sono già due negozi. Un televisore costa l’equivalente di quattro stipendi e Rinaldo va a montare antenne ai notabili della città, al buio e in dicembre, con la neve e tutto quel cribbio di freddo. Si capisce, è sotto Natale che arrivano le tredicesime... Nel frattempo, tanto per evitare che gli saltino fuori un paio di mezz’orette libere, tiene la contabilità ad un paio di ditte, Tomasi e Cattoi.

UN BIDONE imprevisto, e QUASI PROVVIDENZIALE
Volevi un’occasione? Eccotela l’occasione! Un amico si presenta un giorno con una richiesta insolita. Ha ereditato un bel gruzzolo e vorrebbe investirlo in qualcosa di redditizio. Un gesto che ci dice molto anche sull’affidabilità che Rinaldo sa già trasmettere al prossimo suo. Si è già fatto una certa notorietà, insomma, in tema di virtuosismi aziendali. Non ha dubbi su dove mettere quei soldi. Ha già tutto in testa. Una parola come un pensiero stupendo ricorre più volte nel suo vocabolario: elettrodomestici. Si apra un “negozio”, dunque!
Se non che, il giorno seguente all’atto notarile, l’amico ci ripensa. “Ho riflettuto stanotte – dice costui ad un allibito Detassis – e secondo me gli elettrodomestici non hanno futuro…” Sì, insomma, le classiche ultime parole famose. Come Mick Jagger che nel ’64 dà altri due anni di vita ai Rolling Stones o Wilbur Wright che nel 1901 dichiara che l’uomo non volerà almeno per altri cinquant’anni. Insomma, una bella mazzata che fa vacillare, ma non crollare il Nostro, che naturalmente non si perde d’animo. Si mette a caccia dei soldi necessari a riscattare anche la parte del socio-per-un-solo-giorno e onorare il debito contratto. La provvidenziale zia Maria (abbiamo tutti una provvidenziale “zia Maria” nel momento del bisogno. O quasi tutti) gli presta il necessario. Et voilà. Ecco il primo negozio, nel quartiere della Bolghera.

“DETASSIS APRE UN NEGOZIO?
DURERÀ POCO...”
Tra l’altro il primo negozio di elettrodomestici con i prezzi tanto bassi. Perché a Rinaldo lucrare il cinquanta per cento di margine sul groppone del cliente pare un po’ troppo. La metà per lui basta e avanza. Gli altri negozianti storcono il naso e, segretamente, se la ridono. E giù altre ultime parole famose (“Quello lì non dura…, ecc.”) E quando vedono che invece Detassis ed il suo Elettrocasa “durano” e si consolidano cominciano a far nascere leggende metropolitane. “Si era diffusa la voce che fossi una specie di protetto dell’onorevole Piccoli…” ricorda lui, divertito.
In negozio, gli dà una mano il papà, che va in giro a fare mille cose, ad esempio a montare i lampadari. E poi assume questa ragazza di Trento, Carla Angeli, che diventerà presto sua moglie, e che il destino gli ha fatto incontrare per ben due volte.

LA GIOVANE COMMESSA
DELLA PASTICCERIA
Così, spingiamo il tasto rewind e torniamo qualche anno indietro. La famiglia Detassis abita in Piazza S. Maria, in uno dei pochissimi palazzi risparmiati dalle bombe degli inglesi. A piano terra, ci sta il laboratorio della pasticceria Molinari. Prima di andare a scuola, visto che si ritrova con “parecchi minuti liberi”, Rinaldo decide di impiegarli consegnando le pastine allo spaccio truppa del Distretto militare di Viale Verona. Alla domenica, invece, tanto per non correre il pericolo di riposarsi (o di annoiarsi), consegna torte e altri dolciumi a domicilio e alla Pasticceria di piazza Pasi (attuale Bar Pasi). Al bancone, una ragazzina di tredici anni dal sorriso disarmante. Alla sera, Rinaldo ha la precisa consegna di accompagnarla a casa, in Piazza Venezia, con la sua moto Morini Tresette (le moto, altra sua grandissima passione...).
Si perdono di vista. Poi si ritrovano qualche anno dopo, per puro caso, nel tabacchino di Via San Vigilio, a dieci metri dalla Pasticceria Molinari. Carla è diventata grande e Rinaldo strabuzza gli occhi: “In quel momento ho capito cosa ci facevano le donne su questa terra…” ammette. Cupido farà il resto.

Macchine fotografiche
e autoradio nel doppio fondo
Arriva il 1968. Il negozio si allarga e si sposta in Viale Verona, sul Ponte dei Cavalleggeri. “The times they are a changin…” canta in quegl’anni un accigliato Bob Dylan e secondo Rinaldo Detassis, a quel punto, più che un ricambio generazionale occorre un ricambio mentale. Vanno esplorate nuove strade e nuove possibilità. Si comincia con la fotografia. “A Londra, assistendo ad un cambio della guardia, mi resi conto delle centinaia di macchine fotografiche che scattavano. C’è un mercato, pensai…” Tornato a Trento, non perde tempo a prendere la licenza e diventerà il primo a disporre di un assortimento di macchine fotografiche. Apparecchi costosi e complicati, niente a che vedere con certe gigiatine di oggi. Poi arriverà anche lo sviluppo.
Altra frontiera: le autoradio. Assieme ad un amico prete, compie numerose missioni oltre frontiera, a Monaco, acquista in contanti macchine di ogni tipo e nel doppio fondo della Ford Kadett le riporta in Italia. Che avventura, quelle autoradio! “Montarne una voleva dire lavorare almeno tre ore, tra schermaggio, alloggiamento e montaggio vero e proprio. Vendevo su ordinazione. Andavo a Verona, le acquistavo all’ingrosso, pranzavo (menu fisso 950 lire, con un quarto di rosso) e quindi alla sera consegnavo al cliente”.
L’era del centro commerciale e del digitale
Siamo al 1980. Remo Albertini decide di costruire il Bren Center, primo centro commerciale della città. La sua è un’intrapresa a carattere prettamente campanilista. Spera di farne il gotha del commercio trentino.
Ed invece, i trentini che aderiscono sono solo due. L’istinto di conservazione prevale. Non per Rinaldo Detassis che acquista un primo lotto, attaccandoci un pezzo ogni tot, fino a giungere ai due piani di oggi. “Ma adesso siamo di nuovo stretti” ammette. “Il Millennium di Rovereto, quello sì che è un centro commerciale che si possa definire tale. Gli altri sono solo insieme di negozi perché ogni proprietario conserva la propria licenza”. La differenza è sottile, ma decisiva.
Arrivano i computer e con essi la Vobis, altro marchio dell’epopea Detassis. “Sono stato il primo in un sacco di cose a Trento. Ad esempio, a vendere i computer restando dietro al banco…” Sì, perché nei primi tempi ti facevano accomodare in un salottino, tanto era impegnativo l’acquisto.
Un fiume in piena, quest’uomo. Il ragazzo che consegnava le pastine ai militari e che montava le antenne sui tetti ghiacciati, a pericolo di spaccarsi le ossa, ne ha fatta di strada. A fermarlo ci pensa la pensione, che arriva allo scoccare dei sessantacinque anni. Nel frattempo i tre figli (Giordana, Paola e Corrado) si sono fatti adulti, e il maschietto prende il timone della corazzata Elettrocasa, che naturalmente fin dal 1965 entra a far parte di grossi gruppi d’acquisto: dalla DEA alla odierna Trony, che conta ventotto soci in Italia.
Come vede le dinamiche di oggi nel mondo dell’elettronica e del digitale? “Che Samsung stia conquistando il mondo è sotto gli occhi di tutti. E poi la concorrenza del web è pesante. Oggi acquisti l’ultimo modello e quando sei a casa a scartarlo ti accorgi che è già diventato vecchio. Ma questo, adesso, è un problema di mio figlio…” ride Rinaldo.
“IL MIO ORGOGLIO? MAI IMBROGLIATO NESSUNO”
Dopo aver costruito questo piccolo impero, dopo una vita tanto piena e pregna di volti, avvenimenti, successi, scoperte cos’è che ancora oggi la riempie d’orgoglio? Le risposte sono due. La prima fa riferimento ai primi anni, quelli dell’immediato dopoguerra: “Giravamo come cani randagi sulle macerie di Trento, alla ricerca di pezzi di legna da ardere. Facevamo le balle di carta per scaldarci in casa. Eravamo davvero poveri, eppure nemmeno una volta ho invidiato chi aveva più soldi di me”. E riguardo alla sua attività? Rinaldo non ci pensa nemmeno un secondo. La risposta è già lì, sulla punta della lingua, come un colpo da sempre in canna, pronto a partire: “Non ho mai venduto qualcosa ad un cliente con la consapevolezza che lo stessi imbrogliando.” Sì, sembra proprio la storia di qualcun altro: di un tycoon californiano, di un uomo d’affari cinese, di chiunque altro, ma non la sua.
ν