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LENZUOLA APPESE ALLE FINESTRE, COME ALLO STADIO. E SE CI RIPRENDESSIMO LA NOSTRA LIBERTÀ?

È curioso che in un’epoca in cui, grazie ai prodigi del web, formulare un pensiero e divulgarlo al mondo intero è oramai un tutt’uno, si ricorra a distici di dubbia rima spennellati su lenzuola. Animale strano l’uomo. Ora che con le mail ed un po’ di intuito possiamo scrivere praticamente a chiunque – il premier del Canada, il patron di Luxottica, Richard Branson, il Papa – quasi sicuri di essere letti, quanto meno da una segreteria, ci accaniamo ad esporre lenzuola per manifestare il dissenso al povero Ministro dell’Interno. È anacronistico, nostalgico, calcistico o quel che volete, ma mi pare efficace. Dannatamente efficace. Perché colpisce. Più del più aspro e cafone dei commenti social.
Ho cercato di pensare a quale può essere il motivo di tanta efficacia. Come è possibile che un gesto “tribale” – esporre un lenzuolo con un messaggio – colpisca più delle migliaia di improperi che ogni giorno piovono su Facebook o su Twitter? Ebbene, sono arrivato alla conclusione che questo gesto funziona semplicemente perché è “reale”. Accade per davvero. Non è il frutto di un algoritmo che elabora una serie di 0 e 1 e lo traduce in scrittura.
La sbornia virtuale ci ha portati a
sdoppiare le nostre esistenze sui pianeti social, a cambiare la stessa percezione della realtà, del significato che diamo alle nostre azioni e alle nostre parole. Una sbornia durante la quale l’intero vocabolario dell’esistenza ha mutato le proprie definizioni, al punto che alcune parole come “condivisione”, “libertà”, “impegno” o locuzioni come “mi piace” sono diventate altro. Altro da noi.
Adesso, forse per la prima volta da quando è accaduto tutto ciò
proviamo a ribellarci alla dittatura dei pixel. Improvvisamente, esporre la propria opinione alla finestra di casa ci fa provare una sensazione nuova. Una libertà di cui serbavamo segretamente un vaghissimo ricordo. La libertà del reale e del tangibile. Un gesto che ci dice chi siamo stati prima che arrivassero Jobs, Zuckerberg e soci a metterci in catene. E Salvini – badate – tutto sommato, c’entra ben poco, lui, in questo frangente. Lui è solo il pretesto per ricominciare a respirare. Per capire che si può essere uomini e donne anche senza uno smartphone e un social network. Si chiama ”libertà“. Dobbiamo solo reimparare ad usarla. I suoi effetti, a lungo andare, non potranno che giovarci.