La vita di un uomo un “filo d’erba” dentro una gavetta

“La gavetta di alluminio, un cimelio della seconda guerra mondiale, era lì, abbandonato, tra la ferraglia levata da una cantina, a Stedro di Segonzano. La raccolta fu compiuta da un gruppo di volontari per la “Stella Bianca”. Vent’anni fa usava ancora vendere ferro, carta straccia o altro per scopi benefici e per finanziare microprogetti nei Paesi del Terzo mondo.
Danilo Petri, che a Segonzano è un personaggio di mille associazioni, e la cui generosità è apprezzata ben oltre i confini della Val di Cembra, oggi non ricorda esattamente quando e dove fu trovata quella gavetta militare. In verità non sapeva nemmeno se fosse stata usata da un soldato nella prima o nella seconda guerra mondiale. Tuttavia, con il papà, Severino, reduce da un campo di lavoro nazista, in Germania, anche quel reperto poteva servire a mantenere viva la memoria.
Del resto, nell’alluminio della gavetta era pur stato inciso un nome: “Giordanengo Giovanni fu Prosp(e)ro di Boves”.
Un giorno o l’altro, s’era detto il Danilo, verrò a capo del titolare di questa gavetta. Girata e rigirata tra le mani, decise di portarla nella sua “caverna di Alì Babà”, un ripostiglio di cianfrusaglie da far invidia a un rigattiere. Una collezione privata di tutto rispetto perché il nostro coltiva la collezione di frammenti storici in condominio con la passione per l’arte. Quest’ultima è un “male” di famiglia: suo fratello, Egidio, è un celebre scultore; mentre sua sorella, Cristina, con gli acquarelli si è incamminata sui sentieri valligiani del Dürer.
La gavetta, pertanto, finì tra altri mille pezzi finché una mattina, un amico giornalista andato a fargli visita la notò che penzolava da un chiodo. “Se trovassi qualche erede del titolare di questa gavetta sarei felice di restituirla” chiosò il Danilo in risposta allo sguardo interrogativo dell’amico.
Insomma, un invito e una sfida.



Non restava che rivolgersi all’anagrafe del comune piemontese di Boves, poco meno di diecimila abitanti, in provincia di Cuneo. Tra l’altro un nome tristemente noto nella geografia delle città martiri delle rappresaglie naziste: 149 morti (86 civili, 58 partigiani, 6 fascisti). Infatti, Boves fu la prima borgata italiana, il 19 settembre 1943, a subire una rappresaglia delle SS tedesche: 24 morti e 350 case date alle fiamme. Un secondo rastrellamento di partigiani, tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio del 1944, causò 59 vittime. Per sopra mercato, i nazisti bruciarono nuovamente la borgata.
Settant’anni dopo, una gavetta faceva riaffiorare quegli episodi.
Restavano alcuni interrogativi: chi era Giovanni Giordanengo fu Prospero e com’era finita a Segonzano quella gavetta militare?
La signora Marina Dutto, dell’Ufficio anagrafe del comune di Boves alla quale “Trentinomese” si è rivolto, ha risposto con una e-mail fornendo i dati del figlio del signor Giordanengo, Gianmaria, residente a Cuneo.
A quel punto è stato come affondare il coltello nel burro. Una telefonata a Gianmaria Giordanengo ha rivelato che suo padre, Giovanni, emigrato in Francia a 17 anni per fare il muratore, nel 1944 fu arrestato dalla Gestapo e inviato in un campo di concentramento in Germania. Quale? Gianmaria non era in grado di dirlo perché suo padre, morto nel 2004 all’età di ottant’anni, non aveva mai voluto raccontare qualche episodio della sua vita di prigioniero di guerra. A casa, disse il figlio, abbiamo un’altra gavetta simile a quella da voi trovata in Trentino e alcune lettere “conservate dalla nonna, analfabeta, che si faceva leggere in attesa di riabbracciare l’unico scopo della sua vita”.
Per esempio, il 7 maggio del 1944, dal Kriegsgefangenlager (Campo di prigionieri di guerra), Giovanni Giordanengo aveva scritto: “Carissima mamma scrivendovi un’altra cartolina dicendovi che di salute sto bene come spero di voi essendo un mese che non ricevo più posta da voi, cara mamma non state con mal pensieri per me oramai sapete dove sono e quasi tutto sapete di me. Addio mamma cara. Ritornerò”.
Mantenne la promessa. Giovanni, infatti, tornò a Boves nell’estate del 1945 ma, ricorda il figlio, impiegò più di tre mesi dalla liberazione, a fine aprile, ad arrivare in Piemonte. Trovò ospitalità per qualche giorno a Segonzano? L’ipotesi non pare del tutto peregrina perché pure il papà di Danilo Petri, Severino, classe 1917, militare in Francia, fu internato in un campo di lavoro a Hannover dove fece il tornitore. Tornò a casa nel luglio del 1945.
E la gavetta? “Avrei piacere che fosse donata a un museo della guerra, magari a quello di Rovereto che so essere un punto di riferimento importante”, disse il figlio del titolare.
“Trentinomese” si è fatto garante di questa consegna e ha preso accordi in tal senso con Camillo Zadra, il direttore del Museo Italiano della Guerra, a Rovereto. Quel contenitore di alluminio “racconterà” l’odissea di un giovane muratore italiano emigrato in Francia, prigioniero in Germania, e del suo viaggio di ritorno verso casa.
Un frammento di vita.
Un filo d’erba nelle praterie, spesso anonime, della storia.