"La Divina" alle Terme



Luglio 1888. È una calda giornata di sole a Roncegno. La temperatura è rapidamente salita fin dalle prime ore del mattino, e già dopo le undici bisogna cercare riparo all’ombra delle case.
Nel frattempo, in un parco rigoglioso a due passi dal centro, le Terme fremono di vita. I numerosi ospiti passeggiano sotto gli alberi, oziando nell’attesa del pranzo imminente. Sono gli anni d’oro per la prestigiosa stazione termale. L’attività è iniziata quasi trent’anni prima, all’indomani della scoperta della preziosa fonte d’acqua color oro. Col passare del tempo Roncegno si è abituata al continuo via vai e in paese nessuno si stupisce più di sentir nominare personaggi illustri in arrivo o in partenza. Eppure, in quel lontano luglio del 1888, a Roncegno si parla di una cosa sola: alla casa di cura è appena giunta un’ospite del tutto eccezionale, la stella dei teatri d’Italia e d’Europa, un’attrice nota anche in America e che passerà alla storia come La Divina: Eleonora Duse. Ma cosa ci fa la Duse a Roncegno? E cosa l’ha resa così famosa? Per rispondere a queste domande facciamo un passo indietro, e torniamo là dove tutto è cominciato, il 3 ottobre del 1858.
Eleonora Duse nasce in una stanza d’albergo, di domenica. È letteralmente una figlia d’arte. I suoi genitori, così come il nonno paterno, sono attori di teatro in una compagnia itinerante. Sera dopo sera girano il nord Italia, alla continua ricerca di nuovi spettatori. Soprattutto nelle fiere e nei giorni in cui si tiene il mercato, quando i mercanti e gli abitanti del paese di turno si ritrovano nelle tasche qualche soldo da spendere per vedere i comici di turno. Gli attori dormono solitamente tutti insieme in un carrozzone, ma quella sera di inizio ottobre, in vista del parto imminente, i genitori di Eleonora pernottano in una locanda a Vigevano, alle porte di Milano, dove la compagnia recita in quei giorni.
La piccola Eleonora viene al mondo a notte fonda, alle due del mattino, e somiglia in tutto alla madre: folti capelli scuri e grandi occhi neri. La sua infanzia è diversa da quella degli altri bambini. Poca scuola, niente amici. Appena impara a camminare viene messa sul palco insieme agli adulti e a quattro anni già interpreta la parte di Cosetta in un adattamento teatrale de i Miserabili di Victor Hugo. Il padre la tiene per mano sul palcoscenico e le suggerisce via via le parole. Ma la prima sera, quando arriva il momento in cui secondo il copione dovrebbe piangere, la bimba intimidita rimane immobile, in silenzio, finché uno degli attori la colpisce così forte ad una gamba da farla finalmente scoppiare in un pianto a dirotto. Quella sera, la madre, a cui Eleonora è legatissima, la consola impartendole le prime regole del teatro. “Eleonora non avere paura. Il teatro è solo una finzione”. Questa è infatti la concezione dell’epoca riguardo alla recitazione. Pura finzione, semplice arte declamatoria. Gli attori si alternano in scena enfatizzando parole e gestualità. Senza immaginare che oltre allo stile adottato da loro, ne possa esistere uno diverso. Perché dovrebbero preoccuparsene? Al pubblico è sempre andata bene così. E sono ben altri i problemi da risolvere.
Quello dell’attore, nell’Italia di metà 800, è infatti un mestiere ingrato, che costringe ad esibirsi sotto tendoni improvvisati, a spostarsi su strade fangose e pullulanti di ladri e qualche volta anche a patire la fame e a mendicare qualche soldo. Anche la piccola Eleonora impara a chiedere la carità. E magra com’è, data misera dieta a base di poca polenta arrostita o pane, non fatica a suscitare la pietà nei passanti.



Oltre a mendicare la bambina impara anche a recitare bene. La madre, sempre al suo fianco e premurosa nel guidarne la crescita, sprona l’immaginazione e l’intelligenza della figlia. Eleonora è estremamente sensibile, sembra percepire la vita in tutto ciò che la circonda, comprese sedie e tavoli. Parla ore e ore con tutti gli oggetti che trova in casa. Come se loro a sua volta questi dovessero risponderle. Nel frattempo la bambina cresce e le vengono affidate parti sempre più impegnative. La sua prima grande prova come attrice la attende a maggio del 1873, quando a quattordici anni debutta all’Arena di Verona nel ruolo di Giulietta Capuleti. È un pomeriggio assolato, e la giovane Duse cammina veloce lungo le vie del centro, muovendo il fisico snello e agile avanti e indietro mentre ripassa la parte. L’idea di impersonare una ragazza giovane come lei, protagonista di una simile tragedia, la riempie d’emozioni contrastanti.
Ma una volta sul palco come per magia Eleonora si immedesima completamente nel personaggio e sperimenta per la prima volta una sorta di stato di grazia. Da quel momento il suo stile recitativo subisce una trasformazione.
Sul palcoscenico Eleonora si libera delle maschere della commedia dell’arte ed esprime semplicemente se stessa, senza cerone, senza artifici, attraverso uno stile personalissimo e realistico che la porterà a rivoluzionare il mondo del teatro e a dar vita alla recitazione moderna.
Eleonora Duse catalizza l’attenzione di critica e pubblico e diventa presto una celebrità. Ma altrettanto presto impara a tenersi alla larga dai giornalisti, avidi di dettagli sulla sua vita privata.
Non si tratta solo di una strategia per alimentare la curiosità e l’interesse. La Duse ha molto da proteggere. Soprattutto il dramma che l’ha colpita nel giugno del 1880, dopo aver dato alla luce il bambino frutto della relazione segreta con Martino Cafiero. Martino, direttore del “Corriere del mattino” di Napoli, è un uomo di oltre vent’anni più grande di lei, stempiato, con le sopracciglia folte, il naso appuntito, un paio di baffi radi e lunghi. E soprattutto scapolo incallito. Quando Eleonora scopre di essere incinta lo comunica immediatamente a Martino, che terrorizzato si volatilizza, condannando il nascituro all’orfanotrofio. L’usanza italiana del tempo non permette infatti che una ragazza madre allevi da sola il proprio figlio. La Duse disperata affida il piccolo ad una balia, ma ancor prima che si aprano le porte dell’istituto, il neonato muore. Eleonora non si dà pace. Soprattutto perché a poche migliaia di chilometri, nella più libera società francese, un’altra grandissima attrice ha potuto tenere con sé il proprio figlio illegittimo ed allevarlo. Si tratta di Sarah Bernhardt, attrice francese di 14 anni più grande di Eleonora e destinata a diventare la sua principale antagonista sulle scene. Sarah, in netto contrasto con la Duse, si adorna di gioielli e indossa abiti sontuosi curando ogni aspetto della propria vita, dalle dichiarazioni alla stampa alla produzione teatrale. Soprannominata la “regina della postura”, l’attrice francese basa la sua recitazione sull’eleganza dei movimenti, la bellezza, il calore della voce e la plasticità delle pose. Le due attrici non potrebbero essere più diverse. Eppure hanno una cosa in comune: l’amore per il loro lavoro, che costringe entrambe a una vita di continui spostamenti.
Gli anni che passano prima dell’arrivo a Roncegno, Eleonora Duse li trascorre infatti viaggiando costantemente, tanto che ad un giornalista che le chiede dove si senta più a casa, lei risponde “In traversata”. Ed è proprio al termine di una traversata oceanica, di ritorno da una turnée in Sudamerica che la Duse decide di separarsi dall’uomo che ha sposato nel 1881, Tebaldo Checci, anche lui attore, da cui ha avuto una bambina, Enrichetta.
Un’unione infelice quasi da subito, che Eleonora ha voluto soprattutto per proteggere se stessa dalle ossessive attenzioni degli altri uomini e conquistare quella rispettabilità sociale che non ha mai avuto e che sarà il suo cruccio per tutta la vita.



Separatasi dunque dal marito, per Eleonora si susseguono gli estenuanti tour nei teatri di tutto il mondo. Finché la sua salute traballante, sempre più trascurata a causa del lavoro, la riporta alla realtà. Eleonora sa di essere malata di tubercolosi. La prima crisi l’ha avuta già quattro anni prima. Ma ora il dottore che la segue le impone una pausa immediata, a base di riposo assoluto e aria di montagna. E le suggerisce caldamente le Terme di Roncegno. La Duse segue il consiglio ed eccola raggiungere la Valsugana il primo luglio del 1888. Il soggiorno previsto è di quasi tre settimane e per tutto il periodo l’attrice, annoiata e inquieta, intrattiene una fitta corrispondenza con l’uomo di cui è innamorata da quasi un anno. Si tratta di Arrigo Boito, il celebre scrittore incontrato un anno prima al teatro Manzoni di Milano, in compagnia di Giuseppe Verdi. Eleonora in quei giorni porta in scena un commedia di Goldoni e una sera i due uomini si presentano alla porta del suo camerino per complimentarsi con lei per la straordinaria interpretazione. Poche settimane più tardi Eleonora e Arrigo diventano amanti. Ora che lei è a Roncegno le lettere sono il loro unico mezzo di comunicazione. Eleonora inganna il tempo descrivendo il paesaggio circostante, la montagna che le sta di fronte, che nelle giornate di brutto tempo le appare quasi accovacciata sotto la pioggia, e le case, così unite, come ammucchiate l’una sull’altra.
Arrigo Boito le risponde da Torino, lamentando la sua assenza e ricordandole i dettagli del viaggio di ritorno. La partenza della Duse è fissata per mercoledì 18 luglio. Da Roncegno a Trento in carrozza, e poi in treno fino a Verona. Da lì il giorno successivo di nuovo in treno fino a Milano, dove lui la attende per raggiungere Ivrea.
Ma la loro storia non è destinata a un lieto fine. Di lì a poco Eleonora incontrerà un altro uomo, Gabriele d’Annunzio, di cui sarà per anni la musa ispiratrice e soprattutto, per i più maliziosi, la solida finanziatrice dei visionari progetti teatrali del poeta.
Nel frattempo la malattia della Duse continua inesorabile il suo corso. A fine ‘800 la tubercolosi è una malattia enormemente diffusa, tanto da essere soprannominata il male del secolo, o male di vivere. Una malattia quasi idealizzata dagli intellettuali dell’epoca, e descritta in numerosi romanzi, tra cui La signora delle camelie, dove la protagonista, la bella Margherita, soffre di tisi proprio come Eleonora. Ma è anche una malattia che a quel tempo difficilmente lascia scampo. E infatti il destino si compie anche per la divina Eleonora Duse, che termina la propria vita come aveva sempre voluto, recitando su un palcoscenico. È il 21 aprile 1924. La notizia della sua morte si diffonde all’istante e a Pittsburgh, dove l’attrice si trovava in tournée, giungono montagne di fiori.
Sopra tutti spiccano un mazzo di gigli e rose bianche legato da nastro color porpora, omaggio del re Vittorio Emanuele, e uno con la dedica “Alla prima figlia d’Italia”, inviato da Benito Mussolini.
Come Eleonora Duse, lo stesso Mussolini aveva frequentato il Trentino. A partire dal 1909 il futuro Duce si era infatti trasferito a dirigere il suo primo quotidiano. Ma questa è un’altra storia.